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domenica 11 novembre 2012

La truffa del “capacity payment”. E' giusto pagare in bolletta le perdite dei produttori di energie non rinnovabili?


Si chiama “capacity payment” il meccanismo truffa introdotto questa estate nel decreto Cresci Italia per remunerare i “servizi di flessibilità” delle centrali termoelettriche. Un meccanismo che doveva partire dal 2017 ma è stato anticipato grazie ad un emendamento votato da tutti i partiti.

Negli ultimi anni gli impianti fotovoltaici ed eolici sono diventati un bel grattacapo per le centrali tradizionali. Fino al tramonto, infatti, gli impianti fotovoltaici producono energia a costo marginale zero e con priorità di dispacciamento, tenendo bassi i prezzi in Borsa. Capita così che gli impianti a ciclo combinato a gas durante il giorno spesso non riescano a vendere energia. Solo dopo il tramonto, nel giro di un’ora, entrano in gioco con una potenza di circa 20 mila megawatt.
Ed è questa la (cosiddetta) “flessibilità” che viene compensata dal “capacity payment”, cioè dal contributo ai produttori scaricato sulle bollette dei cittadini.
Strano a dirsi ma a luglio 2012 anche la Confindustria ha espresso “forte preoccupazione per la misura introdotta, che può innalzare ulteriormente il costo della bolletta energetica italiana per un valore compreso tra i 500 e gli 800 milioni di euro”. Nota Confindustria che "il tema degli effetti di spiazzamento delle fonti rinnovabili sul sistema termoelettrico esiste, ma non può essere affrontato in modo estemporaneo. In un Paese che ha una sovracapacità ormai strutturale di produzione elettrica di oltre il 30% non esiste un problema di capacity payment bensì quello di trovare opportuni meccanismi di gestione dei bilanciamento e riserva di energia coerenti con il finanziamento del mercato”.

Insomma bisognerebbe darsi da fare per accumulare la sovracapacità energetica e distribuirla meglio, anziché pensare solo agli interessi dei produttori di energie non rinnovabili. Che hanno anche un altro problema, ormai insostenibile.
Progettate prima del boom delle rinnovabili, le centrali tradizionali (gas, termoelettrico, carbone) si reggevano sull’attesa di produrre al 70/80 per cento della potenza massima. Oggi  sia per il crollo dei consumi sia per la concorrenza delle rinnovabili  restano spesso al minimo, e non superano per poche ore al giorno il 65 per cento della capacità. Invece di lavorare per 4 mila ore l’anno necessarie per ripagare l’investimento lavorano per 2500/3000 ore e, per recuperare, vendono l’energia a caro prezzo nel picco serale.
Così si scopre che i produttori elettrici hanno investito circa 25 miliardi di euro sui nuovi impianti a partire dal 2000, quando già si sapeva che avrebbero avuto difficoltà a ripagarsi per l'eccesso di offerta (vedi relazione di Assoelettrica del 2006).

Che conseguenze si avrebbero e per chi se quei 25 miliardi andassero in fumo? Di chi sono?
Ce lo dice l'ingegner G.B. Zorzoli, esperto di mercato elettrico e presidente della sezione italiana dell'International Solar Energy Society (fonte: qualenergia.it):
“Sono stati investiti da chi ha fatto gli impianti, ma finanziati con il project financing, dunque alla fine gli investimenti vengono dalle banche. Non sfruttando i cicli combinati si metterebbero in crisi le banche italiane. La cifra investita è semplicemente troppo grossa per lasciar fallire questi investimenti. Senza contare la ricaduta occupazionale, la colpa della quale poi verrebbe data alle rinnovabili. Non ci resta che sfruttare il capacity payment come possibilità tecnica, facendo attenzione che la remunerazione sia adeguata e sviluppando nel frattempo le tecnologie degli accumuli proritariamente in quelle funzioni non coperte dai cicli combinati”.

Ma questo non si chiama "rischio d’impresa"?
E perché gli errori di questi presunti imprenditori dobbiamo sempre e comunque pagarli noi?

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