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lunedì 3 dicembre 2012

Il Governo riduce i tempi di pagamento tra imprese: come svuotare il mare con un cucchiaino.


Nata con le migliori intenzioni, la riforma dei tempi di pagamento tra imprese si potrebbe trasformare in un’arma a doppio taglio.
Il Decreto Legislativo in vigore dal 24 ottobre scorso prevede che il periodo di pagamento non potrà superare 30 giorni di calendario, se non diversamente concordato tra le parti. Eventuali deroghe contrattuali non potranno essere superiori al periodo complessivo di 60 giorni consecutivi. Al fine di impedire il continuo ricorso a clausole contrattuali e prassi difformi, le associazioni di categoria rappresentate nelle Camere di commercio o nel Cnel saranno legittimate a proporre azioni in giudizio per promuovere la dichiarazione di illegittimità di queste clausole e l'applicazione delle relative sanzioni.

La norma ha recepito la direttiva 2011/7/Ue («Lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali») che l’Italia aveva obbligo di attuare pena la messa in mora da parte della UE.
Il Decreto dovrebbe applicarsi anche ai rapporti tra imprese e amministrazioni pubbliche. Il condizionale è d’obbligo visto che le rassicurazioni uscite sulla stampa a nome del viceministro dei trasporti Mario Ciaccia dovranno essere confermate da apposita circolare esplicativa. Resta il fatto che Stato, enti locali e sanità italiani sono i peggiori clienti del Vecchio continente con tempi medi di pagamento di 180 giorni contro i 65 della Francia e i 36 della Germania. Il risultato è uno stock di debiti commerciali del settore pubblico di 90-100 miliardi, e una scia di fallimenti.

Tutto bene quindi? Purtroppo no, almeno sul fronte dei rapporti tra privati. Se i ritardi della pubblica amministrazione paiono quasi sempre ingiustificati, quelli tra privati hanno una precisa causa: la difficoltà di accesso al credito.
Il caso limite è quello delle imprese nel settore della trasformazione di prodotti agroalimentari, costrette a pagare subito la materia prima, a pena di sanzioni molto pesanti, ma obbligate ad attendere tempi molto più lunghi per l’incasso del prodotto finito.
Con un sistema creditizio funzionante i disagi sarebbero limitati. Invece la tendenza di questi anni, nel 2012 in particolare, è di assoluto segno contrario. Aumento dei costi bancari, procedure di erogazione dei prestiti troppo lunghe, richieste di garanzie eccessive e tassi di interesse tropo alti. Sono questi, a grandi linee, i principali ostacoli incontrati dalle imprese che si rivolgono alle banche. Lo ribadiscono i dati raccolti dall'Osservatorio trimestrale sul credito delle Pmi nel terzo trimestre di quest’anno, resi noti lo scorso 27 novembre. Il 22,1% delle piccole imprese (rispetto al precedente 11,1%) ha visto rifiutata la propria domanda di credito, mentre è in riduzione, rispetto al trimestre precedente, la percentuale delle piccole imprese che si rivolgono alle banche per chiedere un nuovo prestito o la rinegoziazione di un prestito preesistente (15,4% rispetto a 21,7%).

Ancora una volta nessuno ha pensato di costringere le banche a fare il loro mestiere, che sarebbe quello di utilizzare i soldi ricevuti dalla Banca Centrale Europea (al tasso dell’1%) per dare credito alle imprese e ai cittadini. Le imprese avrebbero così la possibilità di investire, creare economia, pagare ed essere pagate nei termini stabiliti dalla legge.

A questo proposito il Direttore dell’Ascom della provincia di Alessandria - Roberto Cava - ha commentato (fonte: http://www.alessandrianews.it ): “E’ evidente la portata dirompente di questa norma, che colpisce il settore dei pubblici esercizi, della ristorazione e degli alimentaristi. Come spesso accade in questo periodo si è partiti da un principio giusto, quello di riequilibrare il rapporto tra grandi centrali di acquisto e produzione, che però produce effetti molto penalizzanti, soprattutto per le imprese più piccole. E questo francamente non è accettabile. Non lo è concettualmente e non lo è, in questo periodo, neppure praticamente. Molte aziende rischiano di non riuscire a fronteggiare la riorganizzazione imposta da una tale stretta sui termini di pagamento”

Se non si affronta il nodo del credito la riduzione (per legge) dei tempi di pagamento sarà solo una ulteriore beffa, come voler svuotare il mare con un cucchiaino. Nel frattempo le imprese, con l’acqua alla gola, affondano.

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